Breve vita del Beato Tomasso da Costacciaro

liberamente tratta dalla “Storia di Monte Cucco”

di Padre Don Placido Maria da Todi

secolo XIX

 


 

Un celeberrimo anacoreta di Costacciaro, di mirabile vita e chiaro per miracoli, che noi d’altronde sappiamo essere stato il Beato Tomasso da Costacciaro, importante terra situata nella regione dell’Umbria, e nella diocesi di Gubbio, alle falde occidentali del Monte Cucco. Nato egli secondo la comune opinione nel 1262, sin da giovanetto si era consacrato a Dio sotto gli statuti camaldolesi nel monastero di Santa Maria Assunta di Sitria, ed avendo, in quell’asilo di pace, dato, assai per tempo,  prova di sé a mezzo dell’amore e del continuo studio delle Scritture, nonché con l’esercizio delle virtù monastiche, data la sua grande modestia ed umiltà, gli fu facile ottenere, quasi due anni dopo, dal suo abbate Trasimondo, l’autorizzazione a passare a vivere in un luogo inospitale, e del tutto segregato da ogni umano commercio,  per condurvi la vita perfetta degli anacoreti. Colà, lungo la scoscesa pendice orientale del Col del Nasséto di Monte le Gronde, fissò il novello Battista il proprio soggiorno, e noi tuttora possiamo ammirare i miseri avanzi del suo angustissimo e pensile reclusorio, non più ampio di due metri e sessanta centimetri quadrati, se, camminando carponi, per ben 55 metri su per l’erta rupe perveniamo, dopo altro tragitto quasi orizzontale di altri centosedici metri, a raggiungerlo, prima che agli occhi stessi sia dato di scorgerlo. Unito totalmente Tomasso al suo Dio nella contemplazione dei misteri celesti e nell’esercizio continuo della mortificazione e della più aspra penitenza, egli non usciva mai da lì, se non per discendere all’adiacente oratorio di San Girolamo o per procacciarsi, tra quei paurosi burroni, fra gli agresti frutti e le amarulente radici, il suo  spartano alimento. Avvenne, un giorno, che dopo avere qui lungamente dimorato, affatto incognito ai mortali, un dì, errando tra la foresta, fosse adocchiato da alcuni pastorelli, i quali, identificando nella sua persona uno spettro, od un fantasma, anziché un uomo vivente ne diffusero la notizia agli abitanti del circondario, e, questi, agli altri dei castelli e villaggi circonvicini. Il che procacciò ben presto al santo anacoreta una moltitudine di ammiratori, i quali, a lui insieme giungendo, lo interrogavano su chi egli fosse ed a qual fine si dedicato, in quell’asperrimo luogo,  ad una così crudele condotta di vita, e, comprendendo essi, dalle sue risposte, che costui era quell’uomo santo di cui già si era persa la memoria e che si era abbandonato ad un tenore di vita così austero, unicamente per sacrificarsi tutto intero a Dio, ed osservandolo macilento nell’aspetto, ed estenuato nelle forze e quasi affatto privo di vestiario, decisero di provvederlo di cibarie per sostentarsi e di vesti per difendersi dalla rigidità dell’atmosfera. Egli, dal canto suo, tutti accoglieva amorevolmente, a tutti dava ascolto, a tutti porgeva aiuti e testimonianze di vita eterna. Dei cibi, tuttavia, che in gran quantità gli venivano offerti, poco o nulla profittava per sé, ma li condivideva con i poveri che già, presso di lui, avevano preso continuamente ad affollarsi. Un contegno così cortese e benigno non poteva fare a meno di non renderlo padrone dei cuori altrui; avvenne, quindi, che non pochi giovani, mossi dalle sue energiche esortazioni, e, anzitutto, attratti dal suo esempio, anelassero a rendersi suoi discepoli d’elezione, decisi a procurarsi, insieme a lui, quella santificazione, che Tomasso, con gran garbo, indicava loro. Poiché, però, la sua naturale umiltà gli faceva aborrire ogni aura di superiorità, costoro dovettero contentarsi di rimanere con lui come semplici compagni. Purtuttavia, essi ebbero in lui un padre, ed un esempio, un consigliere ed un amico, a tal punto che tutti si dichiaravano pienamente soddisfatti e contenti. Nel suo lungo soggiorno sul Monte Cucco, il beato Tomasso operò  molti prodigi tra la moltitudine dei poveri che, ogni giorno, accorrevano da lui, alfine di rifocillarsi o per essere guariti da varie afflizioni ed infermità corporali, poiché egli, facendo sopra di loro il segno della croce, li rimandava liberati alle loro case. Sebbene non sia qui il luogo adatto per dilungarsi troppo sulle gesta del beato Tomasso, pure non possiamo tralasciare del tutto di descrivere uno stupendo portento da lui operato nel summenzionato oratorio di San Girolamo, in quanto, questo, rende più venerabile, di quanto già non lo sia, l’eremo di Monte Cucco. Nel giorno della festa di San Girolamo, alcuni sacerdoti si erano recati a quell’oratorio con il preciso intento di visitare il beato e di celebrarvi la Messa. Ma avvedutisi della mancanza del vino, un certo Peccia, ivi dimorante, ricorse sùbito al santo uomo, ma poiché anche Tomasso se ne trovava sprovvisto, e, ciononostante, gli stava troppo a cuore la celebrazione dei divini sacrifici, animato di santa fiducia ordinò al suo servitore Peccia di riempire le ampolline con l’acqua della cisterna, e, quindi, presane in mano una, dopo breve orazione la benedisse, e, in men che non si dica, l’acqua si tramutò in purissimo vino. Finalmente, dopo aver Tomasso resistito nelle solitudini di Monte Cucco sino alla vecchiaia, conducendo un’esistenza più angelica che umana, e predetta ai compagni, che con lui vivevano appartati, la propria imminente morte, nella solitudine assoluta del suo reclusorio passò a miglior vita il 25 di marzo dell’anno 1337 all’età di anni 75. Dio fece antivedere il suo ingresso glorioso in Paradiso ad un devoto religioso che viveva a Gubbio. Divulgatasi raridamente la notizia del prezioso passaggio all’eternità del servo di Dio, un’infinità di gente, di ogni sesso ed età, corse alla spelonca di San Girolamo per poter vedere e venerare le sacerrime spoglie del bianco eremita di Monte Cucco, nonché per invocare la sua intercessione. Per assecondare la fervente venerazione del popolo, la sua salma fu lasciata esposta sino all’otto di aprile. In quello stesso giorno, l’intero popolo di Costacciaro, ordinato in solenne processione, composta dal Clero secolare, dai Frati francescani e dalle Confraternite, cui faceva séguito il Magistrato, incamminandosi alla volta di Monte Cucco, e deponendo nel feretro, magnificamente addobbato, il sacro corpo, lo traslò, con gran solennità, fino all’interno della chiesa di San Francesco di Costacciaro, dove Dio avrebbe reso grandemente famoso il sepolcro del Beato.

Sicure (s) e possibili (p) tappe salienti, biografiche e cultuali, del Beato Tomasso

Ricostruzione 1a

(accettata dalla tradizione orale popolare più antica, in parte dalla Chiesa, e tramandata da tre biografi eremiti camaldolesi del XVIII secolo e dallo studioso Geremia Luconi)

1262: Nascita del Beato a Costa San Savino (s);

1268 ca.: accoglienza del Beato, fanciullo, alla Badia di Sitria da parte dell’abbate Trasimondo e degli altri monaci camaldolesi (p/s);

1272 ca.: abbandono della Badia di Sitria, da converso camaldolese, e definitivo trasferimento alla “cella-spelonca” prossima all’eremo di Monte Cucco (p);

1272-1337: conduzione di sessantacinque anni d’asperrima vita anacoretica nella “cella-spelonca” della località “Il Beato”(s);

25 marzo 1337: morte del Beato nel suo rifugio eremitico (s);

25 marzo-8 aprile 1337: il corpo del Beato, conteso tra Pascelupani e Costacciaroli, rimane quindici giorni, insepolto ed incorrotto, sopra la terra del suo luogo d’eremitaggio (p);

8 aprile 1337: solenne traslazione del sacro corpo del Beato da Pascelupo a Costacciaro (p/s);

Secc. XVI-XVII: Papa Clemente VIII concede il culto di venerazione del Beato ai fedeli (s);

18 marzo 1778: Papa Pio VI, con apposito decreto pontificio, conferma il culto di venerazione concesso al Beato dal suo predecessore, estendendolo all’intera Diocesi di Gubbio (s);

1768-1785: il Vescovo eugubino Paolo Orefici sposta la festa del Beato dal 25 marzo alla prima domenica di settembre (s);

1831-1846: Papa Gregorio XVI estende il culto di venerazione del Beato ai monaci Camaldolesi, che ne celebrano la festa il 25 marzo d’ogni anno (s);

2001: la ieratica figura del Beato è inserita dalla Chiesa nel Martirologio Romano, sotto il 25 marzo, con la seguente dicitura: «Apud Costacciárium in Umbria, beáti Thomásii, eremitae, qui sexagínta et quinque annos anachoréticam vitam egit et álios ágere dócuit» (cors. agg.).

Ricostruzione 2a

(ipotizzata, come più probabile, dallo studioso Euro Puletti)

1262: Nascita del Beato a Costa San Savino (s);

1272 ca.: accoglienza del Beato, decenne, alla Badia di Sitria da parte dell’abbate Trasimondo e degli altri monaci camaldolesi (p/s);

1277 o 1282 ca.: abbandono della Badia di Sitria, da converso camaldolese, e definitivo trasferimento alla “cella-spelonca” prossima all’eremo di Monte Cucco (p);

1282-1337: conduzione di undici lustri d’asperrima vita anacoretica nella “cella-spelonca” della località “Il Beato”(s);

25 marzo 1337: morte del Beato nel suo rifugio eremitico (s);

25 marzo-8 aprile 1337: il corpo del Beato, conteso tra Pascelupani e Costacciaroli, rimane quindici giorni, insepolto ed incorrotto, sopra la terra del suo luogo d’eremitaggio (p);

8 aprile 1337: solenne traslazione del sacro corpo del Beato da Pascelupo a Costacciaro (p/s);

Secc. XVI-XVII: Papa Clemente VIII concede il culto del Beato ai fedeli (s);

18 marzo 1778: Papa Pio VI, con apposito decreto pontificio, conferma il culto di venerazione concesso al Beato dal suo predecessore, estendendolo all’intera Diocesi di Gubbio (s);

1768-1785: il Vescovo eugubino Paolo Orefici sposta la festa del Beato dal 25 marzo alla prima domenica di settembre (s);

1831-1846: Papa Gregorio XVI estende il culto di venerazione del Beato ai monaci Camaldolesi, che ne celebrano la festa il 25 di marzo d’ogni anno (s);

2001: la ieratica figura del Beato è inserita dalla Chiesa nel Martirologio Romano, sotto il 25 marzo, con la seguente dicitura: «Apud Costacciárium in Umbria, beáti Thomásii, eremitae, qui sexagínta et quinque annos anachoréticam vitam egit et álios ágere dócuit» (cors. agg.).

Ricostruzione 3a

(accettata dal biografo ottocentesco Bonaventura Bartolomasi e dagli studiosi Mons. Domenico Bartoletti e P. Giuseppe Bellucci)

1262: Nascita del Beato a Costa San Savino (s);

1272 ca.: accoglienza del Beato, decenne, alla Badia di Sitria da parte dell’abbate Trasimondo e degli altri monaci camaldolesi (p/s);

1282 ca.: abbandono della Badia di Sitria, da converso camaldolese, e definitivo trasferimento alla “cella-spelonca” prossima all’eremo di Monte Cucco (p);

1282-1337: conduzione di cinquantacinque anni d’asperrima vita anacoretica nella “cella-spelonca” della località “Il Beato”(s);

25 marzo 1337: morte del Beato nel suo rifugio eremitico (s);

25 marzo-8 aprile 1337: il corpo del Beato, conteso tra Pascelupani e Costacciaroli, rimane quindici giorni, insepolto ed incorrotto, sopra la terra del suo luogo d’eremitaggio (p);

8 aprile 1337: solenne traslazione del sacro corpo del Beato da Pascelupo a Costacciaro (p/s);

Secc. XVI-XVII: Papa Clemente VIII concede il culto di venerazione del Beato ai fedeli (s);

18 marzo 1778: Papa Pio VI, con apposito decreto pontificio, confermò il culto di venerazione concesso al Beato dal suo predecessore, estendendolo all’intera Diocesi di Gubbio (s);

1768-1785: il Vescovo eugubino Paolo Orefici sposta la festa del Beato dal 25 marzo alla prima domenica di settembre (s);

1831-1846: Papa Gregorio XVI estende il culto di venerazione del Beato ai monaci Camaldolesi, che ne celebrano la festa il 25 di marzo d’ogni anno (s);

2001: la ieratica figura del Beato è inserita dalla Chiesa nel Martirologio Romano, sotto il 25 marzo, con la seguente dicitura: «Apud Costacciárium in Umbria, beáti Thomásii, eremitae, qui sexagínta et quinque annos anachoréticam vitam egit et álios ágere dócuit» (cors. agg.).


Le notizie sopra riportate sono state messe a disposizione da Padre Don Winfried Leipold, Priore dell'Eremo di Monte Cucco, e rielaborate dallo studioso Euro Puletti.


Un lampante esempio del profondo attaccamento che i Costacciaroli hanno sempre nutrito verso il loro Santo Patrono ed il suo luogo d’eremitaggio è costituito da una lettera inviata nella seconda metà del XIX secolo dall’allora sindaco Achille Vergari, affinché agli eremiti di Monte Cucco venisse revocato lo sfratto che era stato loro intimato.