I racconti del Fosso Lucaraio


Molti sono i racconti di paurose piene del torrente Lucària, conosciuto con il nome di Fosso Lucaràjo o Lucoràjo. L’idrotoponimo, sotto la forma Rucaraio, risulta già attestato dalle Carte di Fonte Avellana nell’anno 1239. Si tratta di un modesto corso d’acqua (ma con un bacino relativamente grande, e, per di più, costituito dalla formazione geologica Marnoso-arenacea, di natura semi-impermeabile), a règime torrentizio, che nasce dalle colline eugubine, nei pressi di Torre dei Calzolari.

Il corso d’acqua è un affluente di destra del Chiascio, nel quale si getta non lontano dal vocabolo Il Tagiano. Si racconta, ad esempio, che, il 31 luglio 1959, durante una di queste "pinàre", causata da un furioso temporale estivo, la corrente d’acqua "se portò via ’na donna", la quale, nella circostanza, perse la vita. La donna, Elisa Pierotti, era intenta a lavare i panni sul greto del torrente, nei pressi della località "Faraone" (che era, anche, il soprannome di un agricoltore locale), in compagnia della figlia, quando fu investita dall'onda di piena, che la trascinò con sé, lungo il Chiascio, fino a Colpalombo. La figlia, ancora bambina, riuscì a salvarsi, aggrappandosi al ramo di una pianta che vegetava lungo le sponde del Fosso Lucaràjo.

"Rubbata dal Chiàcio"

«Amo’ v’arconto de ’na donna cara, che fu portata via da la pinara. Fu su ppe’ l’onde del Fosso Lucaràjo, ch’avenne, gente, questo grosso guàjo. Era ’nte ’l lùjo, del cinquantanove, che, camme mai, forte, venne a piove. Da Faraone, lavava la sua lana, quann’ecco se sgavìna ’na buriana; e trona e lampa, e tanto l’acqua è grossa, che t’arìmpe tutti i fianchi de ’sta fossa; e giù fa corre, nero, ’n cavalone, che, feroce, pare ’n gran lione. La pora donna, rubbata da ’sto scolo, colomba par che va staccando ’l volo. La spigne l’acqua, nera, e la stragìna, mentre che piagne, la fìja, poverina: "La mamma mia, la mamma mia che m’ama!...", mentre s’atacca, de vetrica, a ’nna rama. "Mamma mia", strilla, co’ l’ultima sua voce, che, muta, la lasciò ’sto fatto atroce. La pinara del Fosso Lucaràjo sbatte ’sta donna, che pare ’n seme a spàjo. La ’ngurbia l’acqua, che pesa più del piombo, mentre che ’l Chiàcio la sporta a Colpalombo. Spojàta te l’altrova ’n pescatore, dóppo tre ggiorni passati ’nte ’l delore. Piagne, col cielo, tutta la famìja, ma, più de tutti, piagnerà la fìjja. Da ’sta fiolétta, la voce, ’nte la gola, solo jj’arvénne per piagne d’èsse sola! ’Sta storia, questa, de dolore antrìsa, da ’na donna, toccò, de nome... Lisa. Pierotti Elisa, ’mojàta da ’n Bellucci, tu t’arcutìni, del mondo, tutti i crucci. Elisa mia, sposata a ’n Vignarolo, dal falco de la morte presa a volo. Sopre la schina de ’n nero cavalone, hai cavalcato da quel de Faraone. Da Faraone, giù, fin’a Colpalombo, de la pinara t’ha ’compagnato ’l rombo. Adène sogni, col sonno de la morte, e sai perché te portò via la sorte, adesso dormi, ninnata dai tuoi cari, da cima al poggio de Torre Calzolari...».

"Rapita dal Chiascio"

«Or vi racconto di una donna cara, che fu rapita, un dì, dalla fiumara. Fu sopra l’onde del Fosso Lucaraio, ch’avvenne, gente, questo grosso guaio. È il trentun luglio del Cinquantanove, e, come mai, fortemente piove. Da Faraone, lavava la sua lana, quand’ecco si scatena una buriana; tuona e lampeggia, e tanto l’acqua è grossa, che tutti colma i fianchi della fossa; e giù fa correr, nero, un cavallone, che feroce pare un gran leone. Povera donna, rubata da ’sto scolo, colomba par che va spiccando il volo. La spinge l’acqua, nera, e la strascina, mentre, piangente, la figlia, poverina: "La mamma mia, la mamma mia che m’ama!...", mentre s’aggrappa, di vetrice, a una rama. "Mamma mia", grida, con l’ultima sua voce, ché, muta, la lasciò ’sto fatto atroce. La piena grande, del Fosso Lucaraio, sbatte ’sta donna, che pare un seme a spaio. La gonfia l’acqua, che pesa più del piombo, mentre che il Chiascio la scorta a Colpalombo. Spogliata, la ritrova un pescatore, dopo tre giorni passati nel dolore. Piange, col cielo, tutta la famiglia, ma, più di tutti, piangerà la figlia. O figlioletta, la voce, nella gola, sol ti rivenne per pianger d’esser sola! Questa la storia, di dolore intrisa, ch’a una donna, toccò, di nome… Lisa. Pierotti Elisa, congiunta ad un Bellucci, tu ti raccogli, del mondo, tutti i crucci. Elisa mia, sposata a un Vignarolo, dal falco della morte presa a volo. Sopra la schiena d’un nero cavallone, hai cavalcato da quel di Faraone; da Faraone, giù, fino a Colpalombo, della fiumara t’ha accompagnato il rombo… Adesso sogni, col sonno della morte, e sai perché ti portò via la sorte, adesso dormi, cullata dai tuoi cari, in cima al colle di Torre Calzolari…»

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