|
COSTACCIARO ‑ Il dottor Ivo Puletti, ex medico condotto di
Costacciaro, fu, da ragazzo, il testimone oculare d'una sciagura aerea ed
il primo ad accorrere sul luogo dell'incidente. Quest'avvenimento,
impresso profondamente nella sua mente, ha voluto raccontarlo, perché
nulla di ciò che avvenne in quel giorno, venga dimenticato. Ero ancora
ragazzo in quel lontano mattino del 21 maggio del 1941, e mi trovavo, come al
solito, nel mio paese di Villa Col de' Canali, quando, un sibilo,
squarciando il silenzio, calamitò la mia attenzione verso la vicina
montagna di Costa San Savino intravidi, allora, per una frazione di
secondo, la sagoma d'un aereo, che, provenendo dall’Adriatico, precipitava
verso il Santuario Mariano di Costa
San Savino. Una fragorosa esplosione interruppe bruscamente il sibilare
assordante dell'aereo, e, dall'esplosione, si levò, alta nel cielo, una
colonna di fumo nero, frammista a bagliori e fiamme. Allora, presi a
correre a più non posso, con l'agilità dei miei 17 anni, e, in men che non
si dica, giunsi poco sopra il Santuario della Madonna della Costa. Quello
che vidi, in un solo istante, non l'ho scordato in tutta una vita. Rottami
fumanti di ferraglie contorte e semifuse, schegge metalliche, sparpagliate
per centinaia e centinaia di metri lungo la ripida costa del monte, e, qua
e là, tra l'odore acre e nauseabondo, l'erba bruciata e fumante, e
materiali informi che continuavano ad ardere, fra crepitii indistinti e
scoppi improvvisi dei proiettili della mitragliatrice. Salii ancora, ed
ecco che, in una buca nel terreno, riconobbi il luogo del disastroso
impatto; vidi, infatti, ciò che restava della parte anteriore,
accartocciata su se stessa, dell'aereo e le pale dell'elica, ormai
contorte o spezzate. Vidi anche i poveri resti, ormai informi, dello
sfortunato pilota ed i brandelli del suo paracadute. Attonito e spaventato
non sapevo più cosa fare, quando il silenzio fu rotto dal vociare, sempre
più forte e concitato, di molte persone che arrancavano trafelate da Costa
San Savino e da Scheggia per assistere all'accaduto. Fra essi, salì pure
il becchino di Scheggia, e, da lui guidato, iniziai a raccogliere, una ad
una, le reliquie del pilota, disseminate ovunque. Tutto ciò che
recuperavamo, lo mettevamo in un lembo superstite del paracadute, che, con
le sue stesse funi, avevamo trasformato in un'improvvisata sacca da
trasporto. A questo punto, forse il becchino, o qualcun altro,
probabilmente un’autorità militare, prese ciò che avevamo messo insieme, e
lo trasportò a Scheggia, così almeno ci fu detto. Si narra, poi, che nella
chiesa di Scheggia, forse alla presenza delle autorità della Regia
Aeronautica, e dei familiari del pilota, si tenessero poi le prime
esequie della salma. Seppi, in séguito, che era stato il ventinovenne
Capitano Giovanni Fabbri, di Rimini a precipitare, pilotando il primo
prototipo-mm 471 dell'aereo da caccia, monoelica RE 2000. Il
caccia, che fu ritirato il 21 maggio 1941, dalle gloriose Officine
"Reggiane" di Reggio Emilia, per poi essere trasferito, in volo, fino a Grottaglie, e, infine, venire trasportato a Taranto, si schiantò, così,
miseramente, il 21 maggio del 1941, alle ore 11,10 circa, sulla montagna
di Costa San Savino, per cause tuttora ignote. Un'ipotesi, avanzata di
recente, imputata l'incidente a forti venti di tramontana discendenti.
L'aereo sarebbe, così, finito in sottovento, subendo le conseguenze d'una
forte corrente d'aria discendente ("discendenza"), che lo avrebbe come
schiacciato verso il suolo. I collaudi di questo od altri prototipi del RE
2000 furono proseguiti, il 4 luglio 1941, dal tenente Giulio Reiner, che
rimpiazzò, in tali delicatissime operazioni, lo sventurato Fabbri. Nel corso
delle prove di collaudo, che si protrassero sino ai primi di marzo del
1942, furono evidenziati, corretti, e risolti numerosi problemi tecnici
del velivolo. A ricordare il Capitano d'aviazione riminese, caduto,
nell'adempimento del proprio dovere, a soli 29 anni aggiunge ancora,
commosso, il dottor Puletti oggi non ci sono più le lamiere contorte e
le ferraglie del suo aereo (in gran parte, subito recuperate dagli
abitanti di Costa San Savino, e destinate ai più vari impieghi), ma un
alto cippo, e coronato da una croce, dove fu murata una lapide di marmo.
Su quest'ultima si può ancora leggere un'epigrafe sbiadita dal tempo: "Qui
infranse l'ala e la giovane esistenza il Capitano Pilota Giovanni Fabbri".
Euro Puletti
|
|