Anno VI° numero 201 10 settembre 2007

 

 

COSTACCIARO Storie di emigrati e di un naufragio datato 1914

Morelli e Lupini

Superstiti di un Titanic

Avevano lasciato l'Appennino umbro per trovar fortuna nelle miniere americane. Ma vissero un'avventura simile al Titanic. E quest'estate Costacciaro li ha voluti ricordare, assieme a tutti gli emigrati che hanno lasciato la propria terra. L’emigrazione a Costacciaro ha il suo apice negli anni Venti. Nel 1921 c'erano 3600 abitanti, nel 1931 scendono bruscamente a 2680: un crollo di mille abitanti in dieci anni. Un esodo che riprende dopo gli anni Cinquanta con più ondate migratorie in Belgio e Stati Uniti. Il fenomeno migratorio, tra Sigillo, Fossato e Costacciaro, si registra anche nel 1901‑13, motivato da diverse concause. A partire erano soprattutto braccianti e agricoltori. Tra le tante storie, anche quella di Eugenio Silvestrucci di Sigillo, le cui vicende furono pubblicate da alcu­ni suoi conterranei grazie alle lettere scritte ai parenti.

La storia del naufragio

La storia del "Titanic" di Costacciaro è stata riportata alla memoria dall'assessore Euro Puletti e dalle sue ricerche. Era il 28 maggio 1914, quando un transatlantico inglese, il Royal Mail Steamer, cioè piroscafo della posta reale Empress of Ireland (Imperatrice d'Irlanda), mollati gli ormeggi dal porto della città di Québec, sul fiume San Lorenzo nel Canada francofono, salpava per far rotta su Liverpool, Inghilterra. Dopo circa dieci ore di navigazione, all'una e venti del mattino del 29 maggio, per la fittissima nebbia, il piroscafo entra in rotta di collisione con la nave da carico norvegese Storstad, stracolma di carbone, e affonda, in appena 15 minuti, col suo carico di circa 1500 vite umane. In pochi istanti muoiono 1012 persone e, fra esse, 134 bambini. Circa 500 sopravvissuti fluttuano, invece, per ore, nelle gelide acque del San Lorenzo. Molti di essi muoiono d'annegamento, sfinimento o freddo; altri, più fortunati, si salvano la vita aggrappandosi ai resti galleggianti della nave. Scorrendo la lista dei passeggeri di terza classe, morti e superstiti in questa tragedia del mare, si può desumere come gli italiani coinvolti fos­sero circa 30, di cui 24 morti.

Superstiti

Fra i morti, ci fu Giovanni Bucciarelli, 52enne costacciarolo, emigrato già a fine Ottocento e andato, probabilmente, a fare il "minatore del ferro" nel Minnesota. Il sacrificio di Bucciarelli è così ricordato da una lapide tuttora affissa sul muro interno del cimitero di Costacciaro: "Giovanni Bucciarelli, perito mise­ramente nel tornare in Patria a riabbracciare i cari nell'acque dell'oceano nel naufragio del 29 maggio 1914 a 52 anni". Bucciarelli fu probabilmente l'apripista della migrazione costacciarola, forse il primo: tornava a prendere la moglie e il figlio. Fra gli scampati, invece, ci furono Paolo Morelli, figlio di Giovanni (detto "Paolino il Romano", perché anni prima era andato per lavoro nelle campagne romane), 29 anni, di Villa Col de' Canali, e Nazzareno Lupini, figlio di Emiliano, di Rancana, 21 anni. Sfortunati entrambi scamparono al naufragio ma morirono giovani: Morelli nella Grande Guerra, Lupini con l'epidemia di Spagnola. La vicina Sassoferrato perse nella tragedia del mare ben nove suoi figli. Domenico Pierpaoli fu l'unico superstite di Sassoferrato. Si salvò aggrappandosi a una tavola di legno, tra le grida dei naufraghi. Racconterà sempre alle figlie le grida dei bambini e la disperazione di una madre che chiedeva aiuto per i suoi figli. Rimase aggrappato con tutta la sua forza e la sua tenacia per 24 ore, lui che aveva imparato a nuotare nella chiusa del mulino dove lavorava. Fu segnato da quella notte, anche se ritornò in mare, ma il racconto di quelle ore ai familiari col tempo diventò un'ossessione. Il relitto è ancora là sotto. I soccorsi arrivarono solo la mattina dopo. Rimane una foto di giornale dei cinque superstiti: Pierpaoli, Lupini, Morelli e una coppia milanese, i Braga, che un'onda improvvisa strappò dalle mani il figlioletto.

Patrizia Antolini

 

Le Grotte aprono. E sono "abituate" all'uomo

Caro direttore, sono davvero sconcertato da come, ultimamente, molti si siano improvvisamente scatenati a proferire sentenze sulle Grotte di Monte Cucco, improvvisandosi grandi esperti del settore speleologico, quando, la più parte di essi non ha ancora mai calcato il suolo di quella "meravigliosa regione sotterranea”, come la definiva il suo esploratore per eccellenza, Giambattista Miliani. Fra le cose più esilaranti che ho sentito dire vi è quella secondo la quale il "vergine" ambiente sotterraneo della grotta non potrà sopportare il flusso di visitatori che verranno ad ammirarla. Per la cronaca, meglio, per la storia, quella di Monte Cucco non è più una "cavità vergine", potendosi considerare, invece, una "grotta turistica" almeno dal 1500, data alla quale risalgono le prime visite, comprovate da firme tracciate sulle pareti col nerofumo delle torce o, più tardi, da veri e propri resoconti di esplorazione. In mezzo millennio di uscite in grotta (più appropriato sarebbe, in verità, dire "entrate"), questa è stata ampiamente antropizzata o, come mi pare meglio dire, umanizzata. Tutti gli ambienti prossimamente riaperti alle pubbliche visite sono stati visitati, battezzati e intimamente vissuti da generazioni e generazioni di uomini delle nostre parti e anche di zone lontane, tanto da sconosciuti individui quanto da personaggi illustri come il Gregorovius, il conte Prospero della Genga, il marchese Tommaso Agostino Benigni e così via. Tante anche in passato sono state, inoltre, le escursioni collettive alla cavità. Sebbene sia estremamente difficile stabilire il numero, anche soltanto indicativo, delle persone che hanno calcato il suolo della Grotta in questi cinque secoli, si può però presumere siano state molte, specie se si considera la fittissima frequentazione umana della cavità tra la fine del XIX e quella del XX secolo. Dalla fine degli anni Cinquanta del '900 in avanti, inoltre, gli speleologi hanno anche ripetutamente, e lungamente, pernottato all'interno della cavità. Ora, sebbene, fino a pochi anni fa, non fosse stato predisposto alcuno specifico sistema di monitoraggio delle visite e delle perlustrazioni, la cartina di tornasole dell'impatto ambientale delle precedenti escursioni ed esplorazioni "incontrollate" era puntualmente costituito dalla ininterrotta, e perfetta, potabilità delle acque della risorgente di Scirca, affioramento superficiale del sotterraneo fiume Miliani, collettore principale della stragrande maggioranza delle acque che scorrono all'interno del reticolo ipogeo del Monte Cucco. La Grotta del Cucco non potrà, poi, patire più di tanto della recente riapertura del suo antico ingresso nel versante nord, visto che la cavità stessa comunica già con l'esterno attraverso tre altri ingressi praticabili dall'uomo e con alcune centinaia di ulteriori altri, tutti, purtroppo, intasati da riempimenti di terra, pietre e fango, detriti, spesso millenari, che ne impediscono, attualmente, la piena percorribilità.

Euro Puletti