Anno VI° numero 189 10 maggio 2007

 

 

COSTACCIARO   La prima di due storie di immigrati ospiti dei ragazzi delle media, coordinati dai professori e dall'esperto Euro Puletti

Renato Ricci Il sindacalista venuto dalle miniere

Tra le varie attività, i ragazzi del laboratorio storico‑ludico­sportivo della media Efrem Bartoletti di Costacciaro, coadiuvati dai loro professori e coordinati dall'esperto Euro Puletti, hanno ospitato nella loro scuola due personaggi, Renato Ricci (classe 1932) e Maria Cavalieri (classe 1912), per farsi raccontare le loro storie di immigrati. Ecco la prima.

Renato Ricci, detto Renato de Riccio, è nato nel 1932 presso la storica località la Badia di Costacciaro, dove vivevano, allora, ben 58 contadini, i cosiddetti badiòli, distribuiti su appena tre famiglie coloniche. Il padre, detto Cillo, non ce la fa più a mandare avanti la famiglia con il duro lavoro dei campi e, per questo, è costretto ad andare a cavare il carbone nelle miniere sarde di Carbonia. Renato, frattanto, aiuta i familiari, come meglio non si può, alzandosi "prima de giorno", cioè alle tre del mattino, per guidare una "vetta de bovi", una pariglia di buoi, ad arare i campi e, fattesi le sette del mattino, si fa sei chilometri al giorno per andare a frequentare le elementari a Costacciaro, sotto il vigile sguardo della severa maestra Emma Ronconi. Renato, tuttavia, è bravissimo in matematica e passa il "copione" anche a una parente un poco meno versata di lui nella materia. Renato, infatti, è sempre il primo a consegnare e a uscire dall'aula dopo aver svolto alla perfezione il proprio compito in classe d'aritmetica. Durante i rari momenti liberi dal lavoro, Renato coltiva come meglio può (vista la grave penuria di mezzi economici) la passione per il ciclismo. Per poter comperare un nuovo palmer (un tubolare) è costretto a portare con la bicicletta mezzo quintale di grano al mugnaio Odocaro Grelli di Villa Scirca. Veloce, agile e resistente in bicicletta, Renato viene subito ribattezzato Coppi per la non troppo vaga somiglianza col Campionissimo.

IN BELGIO Nel 1951, a 19 anni, dopo un'accurata visita medica cui lo sottopongono a Milano emigra in Belgio, a Liegi, attorno alla quale v'erano allora ben 54 miniere di carbon fossile. Nonostante minorenne (la maggiore età si raggiungeva a 21 anni), viene considerato abile al lavoro e subito "arruolato", anche perché, giovane, esile e magro com'è, può entrare a meraviglia nei cunicoli più stretti. Nonostante il fatto che andrà a svolgere tutti i più pesanti lavori destinati a persone nella maggiore età, verrà sempre sfruttato e ingiustamente pagato come un minorenne. Gli fanno vedere dove alloggerà, gli danno i vestiti, che, non essendoci armadi, può solo appendere per il tramite di catene issabili fin quasi al soffitto del capannone. Gli fanno, inoltre, firmare un foglio, perché hanno persino paura che, scappandosene in Italia, egli possa portare via con sé quei rozzi vestimenti. Nella camerata dove dorme e in cui convivono persone di ben cinque nazionalità diverse, Renato ritrova molti compaesani costacciaroli e questo allevia, almeno momentaneamente, la già pungente nostalgia di casa. Il primo scoglio da superare, tuttavia, è la lingua. I capi del cantiere della società mineraria in cui lavora (e in cui convivono minatori di 19 nazionalità), infatti, sono in pratica tutti belgi, non parlano che un francese "vallon" duro e rozzo e, con questo, impartiscono comandi, rapidi e perentori, cui occorre ubbidire all'istante, pena severe punizioni e con il tempo licenziamento e forzato rimpatrio.

LA MINIERA Renato è fatto salire su uno spettrale ascensore di ferro arrugginito e fra sinistri cigolii metallici viene calato sino alla spaventosa profondità di 750 metri nel ventre nero della terra carbognosa del Belgio. Successivamente il giovane s'inabisserà nella roccia fino all'incredibile quota di meno 1050 metri. Uscito dall'ascensore, la cui calata è accompagnata da una gelida cascata d'acqua che l'investe in pieno, perché egli non sa ancora che nello scendere all'inferno bisogna tenersi strettamente al centro e non ai lati di quello che è soltanto un rozzo montacarichi, il ragazzo ha l'orribile sorpresa di vedere in faccia il lavoro: dedali di cunicoli alti sui 30 centimetri e in cui occorre strisciare in un turbinio scuro di polvere. All'apice dei passaggi sotterranei, cui si accede dall'alto e che si scavano verso il basso, un uomo solo, lui stesso a cercare di strappare al sottosuolo quanto più può del prezioso minerale, con la punta impunita del piccone o con quella singhiozzante del martello pneumatico. Il carbone viene inizialmente portato via con carrelli trainati da possenti cavalli da tiro del Belgio, mentre poi saranno piccole locomotive a svolgere quest'essenziale servizio. Più si scava, però, e più il terreno, invece di calare, continua a crescere inesorabile. Uscendo nero, affumicato di polvere impastata a sudore e con il contorno occhi unicamente bianco, Renato sembra proprio uno spettro venuto da quel nero inferno senza fondo. Dopo questa prima, devastante esperienza, egli pensa subito che non resisterà molto a quel supplizio e che se ne tornerà ben presto a casa sua per lavorare di nuovo i campi nell'aria limpida e cristallina della sua amata Umbria.

“MANGE MACCARONI” Saranno invece, quasi venticinque gli anni che Renato resisterà tra il vortice della polvere di "mina", detta, alla francese, "posièra". Un quarto di secolo di martirio, consacrato ad aiutare la sua famiglia, lavorando sempre, anche il sabato e, spesso, perfino la domenica. Renato, come ogni minatore "de taille", arriverà a bere fino a 7/8 litri d'acqua al giorno per placare la gran sete generata dal calore (che va da 37 a 40 gradi), dal sudore e dalla polvere e reintegrare così la grande quantità di liquidi perduti durante l'attività estrattiva. Più d'una volta rischierà anche di morire per l'esplosivo grisou o per la più subdola anidride carbonica che fa spegnere la lampada, quella lampada a benzina cui Renato deve la vita e che conserva ancora, gelosamente, nella sua bella e luminosa casa attuale di Villa Scirca tra il Cucco e il Chiascio. Fuori della miniera, nella cosiddetta società civile, la città di Ans, periferia nord-occidentale di Liegi, nel cui territorio comunale s'erano insediati 2400 italiani su un totale di 19000 abitanti, le cose non vanno molto meglio per Renato, visto che lui e gli altri minatori stranieri, accusati di essere andati a rubare il lavoro ai belgi, vengono visti con diffidenza, se non proprio con aperto disprezzo, e subiscono fortemente il pregiudizio razzista che grava su tutti gli italiani, definiti spregiativamente "mange maccaroni", cioè "mangia spaghetti". Per comprendere come gli emigranti fossero considerati da tutti alla stregua di mucche da mungere, si pensi soltanto al fatto che lo Stato italiano riceveva, da quello belga, ben trenta chili di carbone per ogni minatore d'Italia impegnato nell'attività estrattiva in quel Paese.

IL SINDACATO Renato, tuttavia, contro tutto e tutti, continua a essere speranzoso e la sua viva intelligenza, unita all'inesausta voglia di migliorarsi, lo portano presto all'avanzamento nella propria condizione lavorativa. Per quattro anni Renato va alla scuola serale, conseguendo il diploma di meccanico. Compie, poi, il grande salto, entrando nei sindacati belgi, dove si distingue subito per attivismo e brillantezza di idee, tanto e così bene da ricevere persino significative onorificenze, come la medaglia d'oro di prima classe, conferitagli da re Baldovino per la sua attività lavorativa, ma, in particolare, per l'impegno profuso in favore della comunità italiana, largamente rappresentata nel comune di Ans. Renato, infatti, ricopriva l'incarico di presidente della commissione consultiva degli immigrati e a lui era affidato il compito di raccogliere e riferire i problemi della collettività degli immigrati, portandoli alla conoscenza dell'amministrazione comunale e del console italiano.

IL RITORNO Quando negli anni Settanta torna in Italia, vi svolge una febbrile attività in favore delle lotte sindacali iniziate in Belgio, ma i vertici dei sindacati italiani lo fermano, poiché sostengono che non può svolgere azioni sindacali in patria, se non, proprio, dall'interno degli stessi sindacati italiani. Renato decide allora di iscriversi alla Cgil, conquistando in essa incarichi di rilievo e venendo elogiato e insignito di numerosi riconoscimenti. Nei 23 anni durante i quali Renato ha fatto l'emigrante in Belgio sono morte, in media, tra una e due persone al giorno per incidenti in miniera. Terribile quello in cui l'incendio del gas grisou ha provocato ben sette morti in un giorno solo. E poi... Poi, nel 1956, l'ecatombe di Marcinelle, durante l'incendio di uno dei pozzi carboniferi perirono 261 minatori, fra i quali 138 italiani.