Anno 3° numero 61 febbraio 2004

 

 

 

Dopo la Giornata della memoria ecco una storia raccontata da Dusolina Lupini: l'ospitalità concessa a Rancana a una famiglia ebrea nel settembre del 1943

"Ancora li vedo li per terra. . . "

PATRIZIA ANTOLINI

La piccola frazione di Rancana si appoggia lungo le colline che vedono scorrere sotto la strada Flaminia, sul confine tra Scheggia e Costacciaro. Fino al settembre del 1943, qui come in altri posti come questo isolati, la guerra non si era sentita. Ma cominciavano i giorni più duri: dopo 1'8 settembre, l'autorità tedesca, in ritirata al nord ma con l'appoggio del governo repubblichino di Mussolini, il 23 settembre ordinava di presentarsi al servizio del lavoro obbligatorio per tutti gli uomini tra i 16 e i 55 anni. Chi si rifiutava scappava sui monti del Buranese e tra l'Appennino. II marzo del 1944 è l'inizio dei rastrellamenti. Tra chi non è più giovane tanti sono i ricordi, le immagini di paura di quei mesi. Ricorda Dusolina Lupini, ormai ottantenne, di quando quel settembre venne a Ràncana una famiglia fiorentina. I Guetta erano commercianti ebrei, padre, madre e 5 figli tra i 20 e i 5 anni, più un giovane amico di famiglia Piero Viterbo. Colti dal precipitare degli eventi, avevano lasciato la Toscana e, amici dei Servadio di Perugia, erano venuti a conoscenza di questo posto isolato e più sicuro, tramite la loro domestica originaria di lì.  Si sistemarono alla meglio nel magazzino del padre di Dusolina dove rimasero per tutta la durata dell'inverno. Una sera di marzo del '44, come altre volte, si erano ritrovati tutti a ballare nella casa di un contadino, ma nell'aria c'era la notizia dell'arrivo di squadroni tedeschi. Due dei fratelli Guetta e l'amico Viterbo, poco più che ventenni, decisero di non tornare al magazzino, aspettando il segnale di una tovaglia bianca messa fuori, a pericolo scampato. Chissà perché, poi presero la strada della boscaglia e li furono catturati. Lunedì 27 marzo infatti alcune truppe tedesche avevano cominciato a irradiarsi nel triangolo Costacciaro-Scheggia‑Gubbio, passando casa per casa, a caccia di partigiani e pronti a tutto: "…quel giorno chi trovavano ammazzavano…",  ricorda Dusolina. All'ora di pranzo si era già sparsa la voce; i morti ammazzati erano 9 in tutto, ma erano solo semplice gente del posto, perché "…qui di partigiani non ce n’erano..." Altri furono fatti prigionieri e radunati in una casa per essere rilasciati poco dopo. Anche i tre giovani ebrei vennero portati lì e come tutti furono lasciati andare. Ma la loro sorte era diversa: furono fucilati alle spalle lungo il viottolo e rimasero a terra senza sepoltura: per destino non vennero uccisi per motivi razziali ma perché gli vennero trovati addosso oggetti d'oro e denaro, mentre il resto della famiglia si salvava mescolandosi fra la gente del posto. "Ancora li vedo per terra... ", dice Dusolina che accompagnò i genitori non appena avvertiti. Ormai non era più sicura neanche la piccola Ràncana. Così due giorni dopo la famiglia Guetta parti per Gubbio e qui trovò conforto e aiuto nel vescovo Beniamino Ubaldi che tanto fece, come don Carlo Braccini e altri parroci, per nascondere alcuni rifugiati ebrei nel vescovado o in abitazioni private. Dusolina li rivedrà a settembre quando i Guetta decisero di tornare a riprendersi i loro figli, che erano stati sepolti subito dopo, sotto falso nome, presso il cimitero della Madonna della Cima. Per la stima e il legame creatosi in quei mesi, i Guetta portarono con loro Dusolina come domestica prima a Siena e poi a Firenze e con loro rimase per alcuni mesi. Ma i rapporti si mantennero anche dopo: lettere, viaggi a Gubbio e regali: "mi hanno mandato anche una bella stoffa verde di lana, per il mio matrimonio" dice; "ho rivisto la signora per l'ultima volta negli anni '80, e ricordo che ebbe anche un malore quando salimmo su alla cara dove i figli furono uccisi... "