Un uomo estremamente religioso che merita di essere ricordato

Una via intitolata a Vital d'Angelo

 

 

SCHEGGIA E PASCELUPO Una via di Scheggia è intitolata a Vital d'Angelo. Pochi, però, sanno, oggi, chi fosse quest'illustre scheggino dal nome insolito. Vitale, figlio di Angelo, fu un "Gran Villano", cioè un ricco proprietario terriero di "Chignano", fertile località, distesa lungo il versante orientale del Monte Picógnola, sulla quale sorgeva una chiesa antichissima, dedicata a San Quirico. Uomo estremamente religioso, poco prima di rendere l'anima a Dio, egli volle dettare il proprio testamento, nella sua casa, sita nel Borgo di Scheggia, al notaio Claudio Schigi di Costacciaro. Quest'ultimo lo rogò il 16 febbraio 1628, pubblicandolo, poi, dopo la morte del testatore, il 28 settembre 1632. Una copia di tale atto dovrebbe tuttora essere conservata presso l'archivio vescovile di Gubbio. Nella disposizione si legge come "Vitale di Angelo di Michele della Villa di Chiagnano (Chignano)", avendo raccomandata la propria anima "all'onnipotente Dio et alla sua Madre gloriosissima Vergine Maria et a tutta la Corte Celeste" indicasse quale propria erede universale 1'intiera comunità di Scheggia. Egli, però, si premurò di stabilire anche alcune imprescindibili condizioni alla validità del proprio lascito testamentario. Un terzo dei suoi beni, infatti, la comunità scheggina li avrebbe dovuti versare ai priori dell'ospedale dei santi Filippo e Giacomo. Gli stessi priori avrebbero dovuto, inoltre, per il bene dell'anima sua, impiegare tali rendite in opere pie, o dispensarle ai più bisognosi, o alla chiesa di Scheggia. Gli altri due terzi avrebbero dovuto essere devoluti al sindaco. Questi, però, sarebbe stato tenuto, "in perpetuo", a fare l'elemosina, il giorno del Venerdì Santo di ciascun anno, in favore dell'anima del detto testatore. In tale giorno, infatti, il sindaco avrebbe dovuto distribuire, a tutte le famiglie delle ville rurali di Chignano e Monte, un grosso (moneta dell'epoca), e fare altre elemosine nel castello di Scheggia. Per questo suo impegno; il sindaco, portato a termine il suddetto compito, doveva, però, ricevere dieci scudi all'anno, ma era altresì tenuto ad impegnarsi a "tener buon conto della detta robba e far coltivare le possessioni, e tener conto de' bestiami e fare altre cose necessarie in tempo debito".

E. Puletti