Sulle orme dei monaci Coronesi alla scoperta di antiche piante

Fichi, gelsi e noci erano coltivati dalle laboriose mani degli eremiti del monte Cucco per diversi usi

 

 

Costacciaro - Gli alberi dell’Eremo di Monte Cucco ed il loro antico impiego. Fra gli alberi utili, piantati, nei secoli, dai monaci Coronesi dell’Eremo di Monte Cucco, si ricordano i noci (alcuni dei quali, diffusi da scoiattoli ed uccelli, vegetano ancora, sebbene inselvatichiti, sulle pendici sottostanti alle Balze del Col del Nasséto), i fichi ed i gelsi. Mentre è chiaro quale fosse l’uso fatto dai monaci dei noci e dei fichi, non altrettanto evidente è a cosa servissero loro i gelsi. Si può però ragionevolmente ipotizzare che gli eremiti allevassero bachi da seta, come d’altronde hanno fatto, fino a circa ottant’anni fa, molti contadini dei nostri paesi pedeappenninici. Gli eremiti Coronesi, tuttavia, da buoni Benedettini, pensarono bene di diffondere anche altri alberi, oltre a quelli strettamente legati alla loro economia di sostentamento: fra essi ricordiamo alcuni Abeti bianchi (Abies alba), piantati, attorno agli anni ’20 del secolo scorso, tra le località Ara dei Frati e Peràto Longo (“prato lungo”). Due Platani (Platanus orientalis o Platanus acerifolia), uno dei quali, misurando m 4,20 di circonferenza, deve essere plurisecolare, vegetano nei pressi della confluenza del Rio Freddo. E’ ipotizzabile che anche la loro piantagione sia ascrivibile a un’iniziativa dei monaci Coronesi, visto che un campo, assai prossimo a questo luogo (e che si estende in località Il Marchegiano), era di proprietà dell’Eremo. Su questo fondo agricolo doveva sorgere la vera e propria vigna dei monaci, probabilmente un’alberata umbro-marchigiana. Una delle pendici rocciose, calde ed aride, sottostanti all’Eremo è detta Le Ficoràie, ossia “le piante di fico”, forma toponimia derivata da ficora, un antico plurale della lingua italiana che stava per “i fichi”. In tale area vegetano, in maniera presumibilmente spontanea, numerose piante di Fico selvatico o Caprifico (Ficus carica caprificus). Non si può tuttavia escludere che alcuni di questi alberi da frutto derivino, anch’essi, da un’antica coltivazione da parte dei monaci. Splendidi tigli secolari (tilia platyphyllos), completamente ricoperti di muschio ed ornati di felci pendule (polypodium vulgare), sorgono un centinaio di metri sopra l’Eremo, in località il Beato. Gli alberi, ripetutamente capitozzati, somigliano a grandi ed insoliti candelabri verdi. E, per finire, occorre anche accennare ad alcuni meli inselvatichiti che allignano, qua e la nei dintorni dell’Eremo. Con varietà ormai rare di melo, come le “Melacitelle”, i pascelupani, ed altri abitanti dei paesi pedemontani  di questo tratto d’Appennino, facevano una sorta di sidro, molto apprezzato in queste plaghe poco favorite dall’illuminazione solare. Dovremmo essere tutti grati alla sapiente cura con la quale i bianchi eremiti del Monte Cucco si dedicarono alla coltivazione e diffusione di alberi utili ed ornamentali. E’ grazie a questa secolare pratica selvicolturale che ci sono stati tramandati “patriarchi vegetali” come quelli a cui si è accennato in questo scritto.

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