La grotta di Sant'Agnese nella tradizione popolare

 

 

Costacciaro - Sant'Agnese da Costacciaro. Chi era mai quest'enigmatica figura femminile, tramandataci dalla più conservativa tradizione orale popolare? La leggenda vuole che costei, adolescente pastorella, vivesse, per qualche anno, da eremita sul Monte Cucco, facendo penitenza nella vasta Grotta de Sant'Agnese, che, proprio da lei, avrebbe, successivamente, mutuato il nome che tuttora porta. Nonostante l'assoluta proibizione del padre a continuare questo severo stile di vita, assai rischioso per una fanciulla, a causa delle bestie selvagge (orsi e lupi, in primis), e di uomini malintenzionati, ella, sospinta da fortissima vocazione religiosa, avrebbe lungamente continuato il suo penitenziale ritiro all'interno dell'ampia cavità del Monte Cucco. Occorre, tuttavia, dire che l'episodio cruciale della vita di codesta giovinetta è quello che può essere paragonato ad un martirio. Un pastore del Cucco, vedendola spesso transitare, da sola, per le praterie sommitali della località La Pignola, volle un giorno scoprire cosa spingesse "la giovine" ad errare per quei luoghi, tanto aspri e selvaggi. Pedinàtala, l'uomo la sorprese, inaspettatamente, a pregare, in atteggiamento estatico, dinanzi ad un crocifisso di legno, proprio all'interno dell'androne carsico. La giovane, avvedutasi, d'un tratto, della presenza del pastore, che ben conosceva, essendo, costui, di Costacciaro, lo scongiurò, gettàndoglisi ai piedi, affinché non avesse mai a rivelare ad alcuno il sito da lei eletto a penitenziale rifugio. Con lacrime e pianti, allora, ella rammollì i ruvidi scarponi dell'uomo, asciugandoli, poi (un po' come aveva fatto la Maddalena con il Cristo), con i suoi lunghi e sciolti capelli biondi. Il pastore, tuttavia, non appena ebbe ad incontrare il padre della "pulzella di Costacciaro", il quale andava cercando per ogni dove la figliuola, con l'intenzione di punirla, non esitò un solo istante a spifferàrgli tutto quanto era a sua conoscenza. Il genitore, dell'eremita, allora, la sorprese, quel giorno stesso, all'imbocco dell'antro, strappandola bruscamente al rapimento delle proprie contemplazioni. Afferràtala, così, per i lunghi capelli biondi, che raccolse brutalmente in forma di treccia, assicurò quest'ultima ad una corda, corda che legò, poi, al suo bianco destriero. Balzato in sella, l'uomo iniziò, allora, una terribile cavalcata per le irte asperità rocciose. Agnese, strascinata come un sacco di patate, e sballottata a destra ed a mancina, pareva un fecondo chicco di grano che fosse gettato a spaio, sulla terra, dalle ruvide mani di un contadino. Dilacerate le carni, sfigurato il bel viso, martoriate le gentili dita affusolate, e da tempo aduse alla diuturna congiunzione nell'atto della preghiera, ella, ciononostante, riconobbe sùbito il pastore traditore, non appena questi gli sfilò di fronte ai grandi, lacrimosi occhi. Presa da un umanissimo raptus di rabbia, furono durissime le parole che costei indirizzò, nel suo dialetto materno, al pecoraio traditore. Fu, infatti, una maledizione quella che, Agnese gli lanciò: "Te podesse ammarmì te, pecore e cane, co' '1 curtello e '1 pane su le mane!", frase che, tradotta, vale: 'Possa tu restartene pietrificato, insieme alle tue pecore, al tuo cane, al coltello ed al pane che stringi nelle mani!. In men che non si dica, il pastore, le pecore, il suo cane, e, persino, il coltello, il formaggio ed il pane che stava mangiando furono tramutati in durissime statue di roccia calcarea. La singolare formazione rocciosa prese, da quel giorno, il singolare nome di Pècore Tarmìte, vale a dire di 'pecore pietrificate.

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