Storia ed importanza del "Montano" di Costacciaro

 

In epoca romana, un olio, chiamato "oleum herbaceum", era coltivato nell'Eugubino e venduto lungo la via Flaminia. Parlando della cultivar d'ulivo che forniva quest'olio, Plinio il Vecchio nomina, infatti, gli Iguvini. Un "herbaceum", forse una piantagione di tale "oleum herbaceum", dovette esistere, poi, sino all'età moderna, nei pressi del "Passo di Scheggia", a circa 632 metri sul livello del mare. L'uliveto probabilmente più elevato in quota delle nostre zone si riscontra, ad oltre 700 metri di altitudine, presso il valico montano collegante Chiaserna e Valdorbìa. Stando ad attendibili testimonianze orali popolari, la coltura dell'ulivo dovrebbe essere stata più largamente diffusa dai Montefeltro, duchi di Urbino nel XV secolo. Il più grande ed antico frantoio oleario dell'area in esame si conserva a Costacciaro, sul cui colle erano, un tempo, coltivati, intensivamente, gli ulivi. Esso, forse databile al XVII‑XVIII secolo, fu, sin dalle sue origini, denominato "Il Montano": Tale termine potrebbe essere ipoteticamente derivato dal latino "molendinus", "mulino", nel modo in cui segue: "molendinus", "*molendanus", "molentanus", "*moltanus" fino ad arrivare a "montano". Un altro "montano" si può ancora osservare in località "Maglio Nuovo" di Villa Scirca. Una data, iscritta sulla sua grande macina, attesta come esso dovette entrare in funzione prima del 1814. Le varietà d’ulivo, fatte oggetto di coltivazione nella nostra zona, sono le seguenti: "raggiola". "raggio", "pallona" o "rigalese", "leccino". Con il fitonimo dialettale "raggiola" si indica, localmente, sia la cultivar omonima, sia la varietà "raggio", oltreché qualsiasi altra varietà coltivata d'ulivo a frutto piccolo e piccolissimo. La cultivar d'ulivo, denominata "rigalese" (da "Rigali", frazione di Gualdo Tadino, nella quale la sua coltura è particolarmente diffusa) è stata selezionata, nei secoli, per resistere alle basse temperature delle nostre aree pedeappenniniche. La "rigalese" riesce, infatti, a "fronteggiare" temperature di molti gradi sotto lo zero. Non è, perciò, un caso se tale varietà coltivata d'ulivo uscì sostanzialmente indenne dalle terribili gelate dell'inverno 1985, che fecero un'ecatombe fra gli ulivi della restante parte dell'Umbria e della Toscana. Le qualità organolettiche ottenibili da questa cultivar sono eccellenti, fra le migliori, in senso assoluto, dell'Umbria. La pianta produce, infatti, una bassa quantità d'olive, inconveniente, questo, che va a tutto vantaggio della qualità dell'olio. Nelle nostre zone, piccoli uliveti erano messi a dimora, dai contadini, anche nelle colline marnoso-arenacee, situate oltre il Fiume Chiascio, ma la scarsa presenza di terreni calcarei e drenati sfavoriva alquanto lo sviluppo di tale coltura. L’olio prodotto da queste piante risultava, infatti, scarso, particolarmente grasso e di sapore poco gradevole. Nel corso del secolo XX, quasi tutte le olive ottenute nel territorio del Parco erano portate a spremere presso i "molini da l'òjjo". (letteralmente: "mulini da olio"), vale a dire i locali frantoi oleari. Molti di questi molini ad acqua erano situati lungo il corso del Torrente Scirca. “Il Montano” di Costacciaro, con grande travone in quercia, ha funzionato fino agli anni ’60 del XX secolo. Il restauro del locale che lo contiene è stato eseguito durante l’ultimo mandato del Sindaco Fedele Galli. Era, “Il Montano”, di proprietà di Carlo Bartoletti di Costacciaro. Sul travone si notano ancora le astine incise con le quali veniva contata la quantità d’oliva arrivata, o quella d’olio ricavata dalla spremitura delle olive, mentre, in un cassetto del Montano stesso, c’è ancora il vecchio blocchetto d’appunti sul quale si segnavano gli introiti e gli esiti del frantoio.

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